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La Trans Balkan Race è un’avventura attraverso i confini dei Balcani. 1300 chilometri in mountain bike attraverso la natura incontaminata di 11 parchi nazionali, da Sežana (Slovenia) a Risan nel Golfo di Cattaro (Montenegro).
Hermann e io partiamo in team, cosa che entrambi troviamo appropriata, soprattutto per questa gara.

Ancora una volta, non è arrivato nemmeno il 50% dei partenti, non mi chiedere perché …

Prima del resoconto il mio video …

Trans Balkan Race: info……………. sito Trans Balkan Race

–> per il resoconto scrollare giú

GIORNO 1 – 183 km/ 3800 m disl.

Partiamo puntuali alle 8 del mattino da Sežana in Slovenia, non lontano da Trieste. Già all’inizio si vede chi ha preparato bene la sua roba, bottiglie, barrette e altre cose rotolano sul terreno sassoso dopo meno di un chilometro. Uno di loro è molto fortunato: si mette lì e raccoglie i brandelli dei suoi bracciali riflettenti dai raggi. Poteva andare male.

Non ci vuole molto prima che un gradino di pietra mi rallenti, il mio piede non fa in tempo a togliere la scarpa dal click e un cespuglio spinoso mi coglie alla sprovvista. Ahi!

Fa anche caldo e non c’è „ancora“ una nuvola in cielo. Il sentiero sale costantemente fino a un pianoro fiorito con una bellissima vista. La prima fontana, una delle poche sulla strada verso sud, è molto apprezzata e dopo una lunga discesa mangiamo un gelato in un piccolo villaggio. Andrea e Gosia ci passano.

Poco dopo Gosia ci viene incontro, con graffi sulle braccia e sulle gambe. È caduta e il cambio posteriore era danneggiato, purtroppo non le possiamo aiutare. Con le lacrime negli occhi pensa di ritirarsi. La strada si fa di nuovo dura, qualche altro saliscendi, spesso ripido, ma per lo più senza molti metri di dislivello. Tuttavia, la somma è notevole e, quando molto piú tardi andremo “a letto” nel nostro bivacco, avremo superato quasi 4000 metri di dislivello in 182 chilometri.

9 giorni con innumerevoli pozzanghere

A Fužine siamo fortunatamente in tempo per la sosta al supermercato, perché per i prossimi 150 km non c’è nulla. Poi ci rifocilliamo con una zuppa e degli gnocchi al ristorante. Una coppia di sudafricani si ferma qui, noi individiosi, perché vogliamo ancora proseguire. Anche Gosia, che si era comunque unita a noi, ma non aveva piú la marcia più facile sulle salite ripide, e Andrea continuano. Poiché le nuvole si stavano addensando, Hermann voleva andare al rifugio dei guardaparco all’ingresso del Velebit. Lì si potrebbe avere un tetto sopra la testa.

A un certo punto la strada diventa deserta, circondata dal rombo di innumerevoli turbine eoliche sul crinale della montagna. Non essendoci nessuna casa di guardia in vista, decidiamo di sistemarci in un piccolo prato. Lascio il sentiero con un po‘ di trepidazione; dopo tutto, siamo nella zona di pericolo delle mine e non si dovrebbe mai lasciare il sentiero. Dormo male o non dormo affatto, il vento scuote la mia mini tenda e il rumore delle enormi turbine eoliche che ci circondano mi fa perdere il sonno più volte. I tappi per le orecchie non aiutano, perché si staccano dalle mie orecchie sempre con un „plop“. Dopo qualche ora, verso le 5, ripartiamo.

GIORNO 2 – 155 km/ 3000 m disl.

Continuiamo a percorrere sentieri sconnessi e a scorgere sempre più spesso panorami da sogno sul mare blu turchese e sulle isole al largo della costa. Poi dobbiamo dire addio alla vista del mare. Solo a Kotor, 9 giorni dopo, il mare ci saluterà di nuovo, speriamo! 

Ora proseguiamo attraverso il bosco. A un certo punto passiamo davanti alla casa del custode del parco, dove dobbiamo pagare un biglietto d’ingresso di 5€ a testa. Avremmo dovuto guidare a lungo di notte… A un certo punto Gosia ci supera e ci racconta del suo avventuroso pernottamento presso un locale. Ci supera, naturalmente, è più veloce senza il cambio più leggero.

Alla fine della giornata avrò la sensazione di aver visto solo foresta, foresta e ancora foresta. Orsi? Non ne abbiamo visti, ma due partecipanti hanno avuto un incontro con un orso. Abbiamo visto solo molti escrementi di orso. Abbiamo risparmiato la breve deviazione verso il punto più alto, il rifugio Dom Zavižan. Tanto lì danno solo cola e birra.

Poco prima di Gospić, dove avremo oltrepassato il confine verde croato, ci fermiamo in un ristorante e poi „saccheggiamo“ un supermercato in città per fare rifornimento per i prossimi 180 chilometri senza acquisti. Quando lasciamo la città inizia a piovere, per fortuna smette subito, ma il terreno ci mostra quello che avremmo avuto nei giorni successivi: tante pozzanghere e fango. Vogliamo comunque superare la collina successiva e cercare un posto per dormire.

Ne troviamo uno, Hermann entra in una cacca di mucca. Pensiamo di essere in solitudine, ma il rumore di un motore ci dice il contrario. Passa un veicolo. Poco dopo passa di nuovo nella direzione opposta, si ferma, qualcuno abbassa il finestrino e chiede in un inglese stentato cosa ci facciamo qui. Dobbiamo stare attenti perché c’è un „grande orso“.  Cosa? Un orso? Chiedo. Dai sedili posteriori si leva una risata. Qualcun altro grida „Spaghetti!“, non so perché. Ci stavano „prendendo in giro“? Nella mia tenda, avvolto nel sacco a pelo, cerco di addormentarmi. Mi sveglio di continuo. Che cos’è stato? Continuo a sentire dei rumori.

GIORNO 3 – 122 km/ 2300 m disl.

A un certo punto albeggia, la sveglia suona e io raccolgo le mie cose. C’è nebbia, tutto è bagnato.

Poco dopo siamo di nuovo in bici e passiamo davanti alla prima fattoria. Curvo intorno a un cane nero apparentemente tranquillo. Hermann dietro di me è improvvisamente circondato dai cinque fratelli e sorelle neri. Come dice il proverbio: „I cani mordono l’ultimo“. Hermann preferisce camminare un po‘.

Con i loro abbai ancora nelle orecchie, vedo davanti a me un anziano contadino con un pastore tedesco. Con un bastone, il padrone allontana il cane da me. A quanto pare l’animale non reagisce al linguaggio. Passo lentamente. Sono quasi fuori dalla mia vista quando sento delle grida dietro di me e il cane da pastore che scatta verso di me al galoppo. In un centesimo di secondo prendo una decisione. Cosa aveva scritto Bea nel manuale di gara? Non cercare di scappare, i cani sono sempre più veloci. Così freno bruscamente e affronto la bestia, con sguardo truce. Il cane fa come me, passando dall’accelerazione alla frenata. Mi viene quasi da ridere, perché l’animale scivola sul terreno liscio e asfaltato e striscia come in un fumetto… Poi cerca la distanza.  

Per qualche chilometro, la strada attraversa il verde agricolo. Sul terreno accidentato dei prati sento uno strano rumore, uno sferragliamento, da qualche parte sulla mia bici. Questo mi perseguiterà per tutto il giorno e mi darà da pensare. Ogni tanto incrociamo dei ciclisti che preparano le loro cose per la notte per il proseguimento. E poi dobbiamo salire di nuovo. All’alba, colazione in piedi con kefir e pane. Michael si unisce a noi, lo incontreremo più spesso. Pedala con un cambio Rohloff e una cinghia dentata.

Anche oggi andremo molto nella foresta. Il rumore di ogni piccola asperità mi ricorda che prima o poi un problema tecnico mi rallenterà. Peccato! Pozzanghere e fango ci accompagnano e a un certo punto è necessaria una manutenzione della bicicletta. Hermann lubrifica le catene, poi cerchiamo di capire da dove proviene il rumore. Togliamo le borse una per una e scopriamo che è la borsa posteriore a causare il rumore. Se „cede“ durante il tragitto, dove devo mettere tutte le mie cose? Potrei continuare ad andarci?

A un certo punto, stanco della foresta costante, usciamo dal verde impenetrabile. Sotto di noi c’è una valle in fiore. Percorriamo qualche chilometro su asfalto fino al primo checkpoint. Qui possiamo fortificarci con la pasta. Faccio una doccia e lavo i vestiti, tutto si asciuga al sole e alla leggera brezza prima di proseguire.  È bello scambiare esperienze con gli altri, per esempio con il simpatico Dave, l’inglese che vive a Berlino.

Lui, 28 anni, dice di aver appena parlato con la sua ragazza e le ha detto quanto sia bello che donne come Andrea e me facciano QUESTO QUI. Mi chiedo cosa intenda dire. Donne della nostra età, quindi over 50, o donne in generale. Molte non sono più in gara, come possiamo vedere su follow.me. Molte, tra cui molti uomini, hanno già scelto la scorciatoia lungo la costa. È un peccato, perché ora diventerà davvero emozionante dopo i giorni di foresta. Ma davvero…!!!

Rafforzati, continuiamo. Presto si fa strada. Non è raro che io debba smontare e spingere un po‘. Qui Dave è pienamente nel suo elemento, ci sta già superando a rotta di collo. Mi chiedo se andrà bene.

La prima montagna si avvicina. È una salita ripida. Più avanti ancora più ripida, qui vediamo Andrea che spinge. Un rombo in lontananza. Il mio sguardo vaga verso l’alto. Si sono addensate nuvole nere come il carbone. Ed eccoci a salire su un altopiano. Il mio battito sale, non solo per lo sforzo. In cima sale e scende ancora un po‘. Lo stress mi sta prosciugando le energie, perché intorno a noi si fa sempre più buio. E non c’è nessun „nascondiglio“ in vista. Andrea è già scomparsa dal nostro campo visivo. Più tardi ci dirà che lei e Marco stavano cercando un nascondiglio. Si erano offerti degli imbuti carsici, le cosiddette doline, ma era pericoloso. Hermann pensa che dovremmo fare qualcosa prima che inizi davvero. Ad un gruppo di piccoli alberi tira fuori il suo sacco da bivacco e ci infiliamo entrambi. Ad ogni lampo conto e calcolo. La mia paura lascia in qualche modo il posto a una resa al destino.

Non viene giù molto forte, e ripartiamo. Ora inizia a piovere più forte. La discesa su un sentiero sassoso molto ripido mi richiede molto. È scivoloso come il sapone. È già l’alba quando possiamo pedalare di nuovo sull’asfalto nella valle. Alcune case formano la frazione di Velika Popina. Poco più avanti mi raggiungono Dave e un altro ciclista. Dato che si stava facendo buio e pioveva, hanno deciso di tornare alla casa dove alcuni ragazzi avevano dato una festa. Inzuppato come sono, li seguo.

Durante il tragitto vedo una persona in un giardino di fronte a una nuova casa. Cerco di spiegare la nostra situazione nel mio inglese stentato e chiedo se c’è un albergo in villaggio. Solo dopo mi rendo conto dell’assurdità della domanda. Un hotel con tre case in mezzo al nulla? Forse il mio secondo fine era quello di ottenere un posto per il nostro bivacco nella sua nuova casa?

Nikola, lo scopriremo non molto tempo dopo, ci riflette un po‘, poi il suo volto si illumina e nel frattempo ci invita nella sua cucina per riscaldarci e asciugarci. Fa una telefonata e ci dice che i suoi vicini affittano ogni tanto la loro casetta. Lei è un medico, lui un poliziotto. Dovremmo aspettare a casa sua per un po‘ e la chiave ci verrebbe portata. Non sapevamo che il vicino avrebbe fatto 100 chilometri da Zadar solo per noi!

Nel frattempo la madre di Nikola, alias Johnny, ci offre caffè turco, tè caldo alla menta, biscotti e più tardi ci offre una porzione di pancetta e del pane delizioso dal panificio locale. Molto tempo dopo siamo sdraiati nei nostri letti, con le nostre cose che si asciugano davanti alla stufa a legna. Il riposo notturno, però, non dura a lungo, perché vogliamo sfruttare la finestra senza pioggia per superare la prossima montagna.

GIORNO 4 – 167 km/ 2400 m disl.

Partiamo con il buio. Prima ci muoviamo su asfalto fuori dalla valle, poi si fa di nuovo sul serio. Su una strada sterrata, poi più impervia su un sentiero di montagna, tiriamo e spingiamo in salita. Lo scricchiolio della mia bici mi accompagna. Si è rotto qualcosa? La mia bici sta cadendo a pezzi? Sul passo di Bobija ci attende una splendida alba. Il paesaggio è magnifico. La discesa richiede molta concentrazione da parte mia, l’organizzatrice Bea scrive di single track impegnativi. Probabilmente a casa mia avrei percorso una simile tratta a piedi… ma il tempo stringe. Le prime gocce di pioggia stanno già cadendo. Presto saremo di nuovo completamente fradici. A Plavno c’è una piccola salita, poi probabilmente saremo in grado di proseguire comodamente fino a Knin. Quello che sulla mappa sembrava così tranquillo si rivela uno stretto sentiero di argilla, che sotto la pioggia è solo un susseguirsi di pozzanghere e sentieri fangosi. In breve tempo, non solo siamo inzuppati fino alle ossa, ma anche sporchi da cima a fondo. Quando arriviamo a Knin, la mia volontà si spezza per la prima volta.

Piove a dirotto e io mi sto congelando miseramente. Che fare? Decidiamo di andare in albergo per il momento. Lasciamo le bici fuori, completamente sporche, abbiamo dimenticato il lucchetto, ma chi prenderebbe una bici così sporca? Faccio le frange ai nostri vestiti, li avvolgo in asciugamani di spugna nella speranza che si asciughino. A piedi nudi, vado a fare colazione, che mangiamo molto volentieri, affamati come siamo. Andrea si unisce a noi. Al telefono Gosia ci dice che è in macchina per andare dal meccanico. Il suo deragliatore posteriore si era rotto durante la notte, aveva suonato disperatamente il campanello di una casa ed era stata aiutata. Poco dopo è di nuovo in gara.

Verso mezzogiorno si schiarisce. Partiamo subito, pienamente motivati. Nel frattempo, un’intuizione mi aveva portato a risolvere il problema della valigia: Nella borsa c’è un telaio metallico con cui la borsa è fissata al telaio in carbonio. Questo telaio aveva una guaina di gomma, che avevo tolto a casa per risparmiare peso. In queste condizioni avverse, qualcosa aveva urtato il metallo, quindi la colpa di questo problema era solo mia, che a volte mi lasciava i nervi quasi scoperti. Rimpacchettato e tutto a posto.

Abbiamo superato la cascata di Krčić e poi abbiamo attraversato la gola lungo il fiume omonimo. Arrivati in cima al Parco Naturale Dinara, ricomincia a piovere. Hermann aveva attraversato il campo fino a un edificio in rovina per cercare riparo. Quando sono lì anch’io, mi sento accaldato dall’orrore. Siamo di nuovo in una zona di pericolo per le mine e non dobbiamo lasciare il sentiero per nessun motivo. Con timore, torno al sentiero su una pista per trattori. Superiamo diversi greggi di pecore e capre, tutti sorvegliati da cani da pastore. Per precauzione, smonto più volte. I cani di solito si avvicinano con curiosità, scodinzolando pacificamente. Non abbiamo avuto esperienze negative durante tutto il viaggio, ma ho sempre avuto un po‘ di „paura“ quando vedevo i cani in lontananza. Siamo scesi dalla bici e abbiamo camminato per un po‘, perché non puntiamo a un posto in gara. Il nostro obiettivo è arrivare prima della finisher party.

A posteriori, ho scoperto che non eravamo lontani dal mistico „occhio del drago“, la sorgente del Glavaš, che alimenta il fiume Cetina.

occhio del drago

C’è una deviazione a causa della chiusura di una strada. Ma prima di ciò, la mia volontà viene quasi spezzata di nuovo: Il percorso ci porta attraverso un prato, un prato allagato. Nell’acqua profonda fino alle caviglie, riesco a rimanere in sella alla bici. Poi, a un certo punto, devo smontare. Indietro? Non ne vale la pena, quindi continuo. Bisogna attraversare un piccolo rivolo. Non serve a nulla togliermi le scarpe bagnate, quindi lo attraverso con le scarpe. Poi la terra è di nuovo solida sotto i nostri piedi. Davanti a una casa ci puliamo e svuotiamo le scarpe. Un rubinetto mi dà l’idea di pulire un po‘ la bici, un asciugamano funzionale fa un buon lavoro su corpo e bici. Siamo osservati. Due donne invitano noi tipi strappati a prendere un caffè. Parliamo con le mani e con i piedi, usiamo anche il traduttore. Quello che raccontiamo alle  contadine sembra inimmaginabile. Tornati sulla strada, dobbiamo aggirare il bacino di Perućko jezero sul lato est, su una strada principale con più traffico. I camion che si avvicinano velocemente mi spaventano e mi ricordano le mie spiacevoli esperienze sul Northcape4000. Dopo una sosta caffè con „Rohloff“-Michael, non manca molto alla prossima salita e al confine con la Bosnia Erzegovina. Prima, però, c’era una discesa in fuoristrada di circa sei chilometri. Bene!

Ma la sensazione di benessere non tardò a svanire. La deviazione conduce lungo un sentiero ammorbidito dalla pioggia, attraverso innumerevoli pozzanghere e ancora più fangoso del solito a causa degli zoccoli di molti bovini. Scendere e passare innumerevoli volte non aiuta, il terreno si avvolge intorno ai copertoni e blocca tutto. Anche la catena è avvolta dal fango. Improvvisamente la motivazione viene meno. Mentre raggiungo Michael e Hermann, sospiro: „La mia voglia di fare si è spezzata…!“. Non è la prima volta e non sarà l’ultima. Hermann pulisce la catena con uno spazzolino da denti. Io, invece, mi accovaccio accanto a una pozzanghera opaca di colore marrone rossastro e con la mano spruzzo instancabilmente l’acqua sulla catena, sperando di togliere l’ultimo granello di sabbia. il resto della bici è solo estetica e in quel momento non mi interessa.

A un certo punto, il sole sta già tramontando, raggiungiamo la strada a serpentina che porta al passo Vaganj. Il nostro piano di raggiungere Šuica oggi è fallito. Dal punto più alto, dopo aver attraversato il confine con la Bosnia Erzegovina, scendiamo a Livno. Hermann cerca un albergo su Booking lungo la strada. Sapendo che presto potremo andare a letto, anche gli ultimi chilometri sono una sfida. I nostri occhi vogliono già chiudersi. Dopo aver girovagato un po‘ per Livno, troviamo l’alloggio. Posso innaffiare la bici e pulire il peggio, poi la doccia calda mi aspetta. Indescrivibile!

GIORNO 5 – 160 km/ 2700 m disl.

Partiamo di nuovo presto, è l’alba. Alcuni cani randagi ci rimproverano e ripartiamo. E ora sono letteralmente scosso dal sonno. Una brutta strada di pavé, ancora bagnata dall’ultimo acquazzone, conduce all’altopiano di Cincar. Anche qui la mia volontà è messa a dura prova. Una volta sull’immenso altopiano, non c’è altro che magia. Si dice che qui vivano anche gli ultimi veri cavalli selvaggi d’Europa, circa 800 animali. Guardo con desiderio a destra e a sinistra. Mi chiedo se la fortuna ci assisterà. E poi eccoli lì. Vedo il primo gruppo in lontananza. Poco più avanti, una piccola mandria galoppa. I cavalli si avvicinano cauti e un po‘ sospettosi, ma curiosi.

Gosia ci raggiunge. Ci racconta della sua esperienza prima di Knin e della sua paura di non farcela, perché sabato deve prendere il suo volo. Per lei sarà una sfida a colpi di chiodi. Ma ce l’ha fatta con una notte di riposo nel tratto più difficile della gara. Gosia è stata bravissima. Il nostro rispetto!

Poi la discesa verso Šuica. Gli ultimi metri attraverso un prato allagato, ancora una volta. Ma poi tutte le fatiche vengono dimenticate: Nel bar adiacente al supermercato c’è un delizioso caffè e una torta. E poi facciamo il pieno di provviste. Per 120 chilometri, fino a Mostar, non dovrebbe esserci nulla. Imparo che non bisogna stringere la bottiglia di acqua minerale tra le ginocchia mentre la si apre. Il risultato è che metà della preziosa acqua esplode dalla bottiglia. Rimane solo mezzo litro per il mio zaino di idratazione. Mi basterà per superare le montagne? Non voglio fare di nuovo la fila al supermercato. Per fortuna non fa molto caldo e il prossimo acquazzone non tarda ad arrivare.

Dopo un passaggio asfaltato, andiamo di nuovo fuori strada. Sono inorridito dalla scena che vediamo al bivio. Una discarica di rifiuti. Tutto intorno baracche di legno di fortuna, tutto intorno rifiuti. C’è davvero gente che vive qui? Accanto all’enorme cumulo di rifiuti ci sono diverse auto parcheggiate e sopra i rifiuti una dozzina di persone che setacciano i resti del benessere. Anche questo esiste ancora in Europa. Per i successivi 50 chilometri attraversiamo la cosiddetta Zona di pericolo. Qui non è consentito deviare dal percorso per nessun motivo. Si dice che l’area sia ancora minata più di 25 anni dopo l’ultima guerra. La zona è collinare, secca e carsica, tranne che per la pioggia. Brevi salite molto ripide mi costringono a scendere dalla bicicletta. Facciamo progressi molto lenti. Scopro con orrore di aver dimenticato di accendere il tracker al mattino.

Dopo quasi 80 chilometri, mi rifarò il prima possibile. Bea probabilmente penserà che sono arrivato qui in elicottero. Sorriso. Poi, nel parco naturale del Blindinje, i sentieri migliorano di nuovo. Incontriamo Christoph, che all’inizio andava veloce ma aveva problemi di sella. Gli forniamo delle creme e lo incontreremo di nuovo a Mostar.

Dopo il lago Blindinje, ci raggiunge Gosia, che aveva fatto un lungo pisolino da qualche parte. Non la incontreremo più da Mostar. Incontriamo Niko, dagli Stati Uniti, che è in viaggio da mesi con la sua bicicletta e la sua macchina fotografica, prima attraverso il Marocco, poi lungo la costa italiana e continua a incrociare il percorso del TBR. Ci incontriamo per caso a Risan e ci permettiamo di ospitarlo nel nostro appartamento.

Dopo una ripida salita impervia, il percorso è abbastanza veloce su un terreno collinare. La successiva discesa da brivido sembra non avere fine. Sono sempre stupito da ciò che una MTB può sopportare. Scossi per giorni su strade dissestate, la mia bici arriva al traguardo senza una foratura. Un miracolo! Ma poi raggiungiamo la tanto attesa strada asfaltata che porta a Mostar.

Dopo l’immancabile foto del simbolo, lo Stari Most, il „vecchio ponte“ sulla Neretva, cerchiamo di trovare una sistemazione. Torniamo indietro fino a dove avevo visto un hotel attraente. Quando finalmente ci registriamo all’Hotel Patria, con Christian che ci ha raggiunto, i supermercati sono chiusi. Fantastico! Usciamo tutti e tre per una cena favolosa al vicino Restoran Malo Misto. Dopo 4 giorni, il piatto di agnello con gli gnocchi ha un sapore incomparabilmente buono. Anche se un dente, che da giorni era leggermente sensibile, fa sempre più male. Riempiamo le riserve in una stazione di servizio e poi andiamo a letto.

GIORNO 6 – 112 km/ 2500 m disl.

Quando la sveglia suona presto, sono già sveglio da tempo. Il dente pulsa. Penso se abbia senso andare dal dentista qui a Mostar. Nei prossimi giorni difficilmente riusciremo a raggiungere un posto più grande. Prima delle sette potevo parlare con il mio dentista a casa, con gli antidolorifici e il resto. A parte il fatto che la pomata non ha funzionato il primo giorno, non mi sembrava il massimo partire in quel modo. Era un motivo per abbandonare?

Dopo un’ottima colazione, partiamo solo dopo le 8 del mattino. Non c’è ancora una nuvola e si suda durante la ripida salita che supera in parte il 18% di pendenza. Nel supermercato di Nevesinje incontriamo Marco e Christoph. Ora è il momento di „rintanarsi“, perché i prossimi 130 chilometri sono di nuovo una terra desolata in termini di acquisti. Pozzanghere e fango ci seguono, dall’alto il bagnato ci risparmia, almeno per poco, ma all’orizzonte qualcosa si sta già preparando di nuovo. Saliamo e scendiamo, ancora e ancora attraverso aree agricole. Si avvicina una piccola salita. Davanti a me, in mezzo al sentiero, c’è un uomo di media età con le braccia spalancate. Non riesco a superarlo, così smonto e vengo abbracciato. L’uomo sembra avere un’indole infantile, non parla, prende la mia mascotte sporca di terra appesa alla sacca del top tube, un piccolo orsetto ex bianco, indica l’orsetto, poi se stesso.

Ancora e ancora. Poi mi strappa il manubrio e inizia a spingere la bici in salita. In cima, fa lo stesso gesto all’orso e a se stesso. Pensa di essersi guadagnato il peluche spingendolo. Ma io non voglio separarmi dal mio orsacchiotto, che ha vissuto tante avventure con me. Cerco di trovare un sostituto e offro al ragazzo un wafer. Ma non lo vuole. Gli prendo delicatamente il manubrio e lo faccio sedere. Poi allarga di nuovo le braccia, mi tira verso di sé e mi dà un grosso bacio graffiante sulla guancia. Almeno il maglione profuma di fresco. Poi sono libera. Andrea mi dirà più tardi che anche lei ha avuto la stessa esperienza con questo simpatico ragazzo.

Discesa per Ulog. Secondo l’elenco dei POI, qui c’è un bar. Non ho bisogno di nulla e purtroppo non c’è caffè. Quindi proseguiamo. Tutto è bagnato, le pozzanghere costeggiano il nostro percorso. Probabilmente aveva piovuto più forte poco prima. Il sentiero è in salita e poi in piano lungo il fianco della montagna. Vogliamo attraversare il prossimo monte medio-alto, il profilo altimetrico non promette nulla di buono. Breve ma duro, si potrebbe dire. Ancora una volta la mia bici in carbonio mi butta giù, le scarpe si impigliano nei pedali clipless e mi procuro un bel livido sulla coscia. E poco dopo inizia a piovere. Riusciamo a scendere, avevo visto un minareto nella foresta al tramonto e accanto una specie di fienile con il pavimento in terra. Ora che comincia a diluviare davvero, con lampi e tuoni, decidiamo di chiudere presto la giornata. Il fatto che qualcuno avesse fatto la cacca nell’angolo non ha diminuito il nostro sollievo. Prepariamo un pasto a base di acqua e zuppa liofilizzata in polvere e poi io scompaio stancamente nella mia tenda e Hermann nel suo sacco da bivacco. Sono solo mezzo addormentato quando Marco arriva e chiede di potersi sdraiare con noi. Mi dice anche che ha rotto il cavo del cambio e vuole abbandonare la gara. Non mi accorgo che anche Andrea cerca posto per pernottare nel nostro fienile.

GIORNO 7 – 152 km/ 3100 m disl.

Vogliamo partire all’una e mezza. Mi dispiace che i nostri preparativi non siano silenziosi, ma i due non si lasciano disturbare. Il nostro percorso verso il passo dell’Orlovačko conduce a oltre 1000 metri di altitudine su una strada forestale piuttosto accidentata. Hermann aveva scoperto sul suo navigatore satellitare che il nostro percorso si sarebbe presto unito alla R-434, una strada regionale? Fantastico, allora la guida antiritmica finirà presto. Sbagliato! Il manto stradale peggiora ulteriormente. Guido così lentamente che all’alba le zanzare cominciano a darmi fastidio. Infine, sul passo, la strada diventa fangosa. E questo fango si avvolge di nuovo intorno alle gomme durante la discesa. Poi è una lunga discesa attraverso la foresta, la foresta e ancora la foresta. Poiché qui il sole non passa quasi mai attraverso i rami, il fango è altrettanto fangoso e dobbiamo attraversare molte pozzanghere. A un certo punto, la stanchezza si fa sentire e scegliamo alcuni tronchi d’albero appena tagliati per un pisolino energetico.

15 minuti devono essere sufficienti. Continuando il nostro cammino, scopriamo che 100 m più avanti una bella area picnic coperta sarebbe stata sicuramente più confortevole per il nostro pisolino. Alla fine arriviamo a Miljevina. Un piccolo ristorante sulla strada ci invita a entrare e la bici di Christoph è già lì. Purtroppo non ci sono buone notizie: è caduto nella notte durante la discesa, ha battuto le mani e tutte le sue “superfici di contatto” con la bici sono danneggiate. Prenderà l’autobus per Risan. Ci concediamo un caffè e una deliziosa omelette (l’Atlas Mountain Race ci saluta), poi ci rimettiamo in marcia. Dobbiamo ancora scalare una montagna nel Parco Nazionale Sutjeska, un bellissimo altopiano, poi un’altra discesa e siamo al secondo checkpoint, il CP2 di Popov Most. A un certo punto del pomeriggio, restano solo 7 piccole salite e poi è tutta discesa. In Bosnia, tutte le persone guidano VW Golf 2, per lo più „con un occhio solo“ e arrugginite dappertutto. La manutenzione delle auto è rudimentale, a volte con metodi di sollevamento folli…

A Popov Most c’è il rifornimento di carboidrati sotto forma di pasta, succo di sambuco fatto in casa, una doccia necessaria e il lavaggio della bicicletta. Posso lavare la mia attrezzatura da ciclismo, che si asciuga quasi completamente al sole.

Poi proseguiamo fino a Brod, dove compriamo un po‘ di generi alimentari, perché come al solito ci sono più di 100 chilometri da percorrere senza rifornimenti. Ma dove dormire? In alto fa troppo freddo. Primož ci aveva detto al CP2 che non c’era più nulla dopo il fiume Tara. Lungo il percorso ci sono innumerevoli rafting-camps, quindi affittiamo una rustica capanna di legno nel Rafting kamp Rajska Rijeka. Ottima idea!

GIORNO 8 – 152 km/ 3900 m disl.

La mattina si parte al tramonto. Il confine con il Montenegro non è lontano. Quello che ci aspetta oggi è uno dei più belli di tutto il viaggio. Dopo una lunga salita, la strada diventa collinare, passando per Poljen, correndo sui crinali e poi entrando nel Parco Nazionale del Durmitor. Durante l’ascesa al Passo di Sedlo, un drone ronza sopra le nostre teste, devo „fischiare“ Hermann, perché non è assolutamente pensabile che non siamo in video come una squadra. In questo contesto posso dire che Hermann sarebbe stato sicuramente più veloce di un giorno senza di me, e più volte ha aspettato pazientemente che la sua appendice lo raggiungesse, sia in salita che nelle discese più tecniche e sconnesse. Lui ha tanto tempo per mangiare, io purtroppo no, perché appena arrivo è già ripartito… Incontriamo Bea e Luca, che ci avevano aspettato appositamente sul passo e che avevamo messo alla prova, visto che avevamo fatto una breve pausa per mangiare poco prima. Dopo la prima salita di oggi, scendiamo su asfalto. A un certo punto la strada viene riasfaltata e Hermann urta un oggetto appuntito a lato della strada. Il sigillante nel copertone fa il suo lavoro, ma Hermann deve pompare aria più volte nei giorni successivi. Ma questo è stato il nostro unico problema tecnico in questo viaggio.

Dopo il passo di Sedlo, con una vista da sogno sulle montagne del Durmitor, si scende rapidamente a Žabljak. Qui facciamo una vera e propria sosta, facciamo un po‘ di shopping e ci dotiamo di carte SIM turistiche montenegrine. A quanto pare non me ne intendo molto di cose tecniche, perché mi sono seccata con la nuova SIM, per poi scoprire un giorno dopo che la scheda funzionava benissimo, avevo solo dimenticata di attivare i „dati mobili“, che avevo disattivata in Bosnia. Pura stupidità!

Bea & Luca

Il percorso successivo è descritto nel manuale di gara come impegnativo e collinare. Si tratta di oltre 60 chilometri attraverso un altopiano. Non c’era anima viva. Ho visto solo il filo teso sul percorso, che ci era stato annunciato su WhatsApp, perché Hermann ha attirato la mia attenzione su di esso. Poteva finire male. L’avevo già messo da parte, perché si è allungato sul sentiero un po‘ più tardi del previsto… Non posso essere così felice dei prati alpini in fiore, non solo per gli innumerevoli passaggi a spinta, ma anche per le incombenti e spesse nuvole nere. Al crepuscolo passiamo accanto ad alcuni greggi di pecore e a rifugi alpini, sorvegliati da cani che abbaiano. Quando iniziamo a scendere ripidamente verso Kolašin, inizia a piovere a dirotto. In poco tempo siamo completamente fradici, la ripida strada di ghiaia sarebbe già una sfida per me quando è asciutta, ma sono ancora più maldestro quando è bagnata. Hermann diventa leggermente impaziente.

Una prima casa lungo la strada, illuminata tutt’intorno. Bussiamo. Nessuna reazione. La porta non è chiusa a chiave, ma non osiamo entrare. Almeno siamo protetti dalla pioggia sotto il tetto. Ma fa freddo. Che fare? Hermann cerca degli alberghi su Internet. C’è uno Sheraton, ma ci faranno entrare nel nostro stato di devastazione? Dobbiamo lasciare la traccia per raggiungere la piccola città. Lungo la strada, noto una casa illuminata con l’insegna „camere“. Si avvicina la mezzanotte e suoniamo il campanello. Ci apre una ragazza. Nessun problema, possiamo avere una stanza. Possiamo mettere le nostre biciclette sporche nella sala comune. Un bagno caldo risveglia i miei spiriti, ma li mando subito in un profondo sonno senza sogni.

GIORNO 9 – 97 km/ 2400 m disl.

Non molto presto come al solito, lasciamo questo ostello un po‘ malandato. Entrambi i nostri tracker non si accendono più di verde, una luce rossa annuncia che le batterie sono quasi scariche. Ma non serve, qui non possiamo fare una ricarica e Hermann aveva già inserito le batterie di ricambio, che erano nel cassetto dal GBDuro e probabilmente non erano ancora ben asciutte.

Già il giorno prima era stato un po‘ impegnativo, ma oggi lo è stato ancora di più: il tratto del percorso era descritto come „salite impegnative, sentieri di montagna, anche tecnici…“. Il paesaggio era magnifico, ma significava comunque dare tutto. Ci sono sempre discese tecniche e le salite sono spesso così ripide che dopo queste giornate impegnative devo smontare e spingere la mia bici da 30 chili. Inoltre, gruppi di nuvole nere e tuoni lontani sono sempre minacciosi. Lo stress si fa sentire. Ma il panorama è fantastico e quindi mi distraggo costantemente dallo stress e dall’azione del cielo. A un certo punto, è tutta discesa verso Nikšić. Tuttavia, su un sentiero calcareo bloccato che ancora una volta richiede tutto.

A mio parere, questa giornata è stata la più difficile dell’intera gara. Le ragioni sono molteplici, non ultima la costante minaccia di temporali sugli altopiani.

Al supermercato compriamo nuove batterie e qualche provvista, poi ci dirigiamo verso l’albergo che avevamo trovato. Sarebbe stato facile continuare i 70 chilometri e arrivare a destinazione a Risan verso mezzanotte. Un letto accogliente, una pizza e un’insalata greca per prima cosa sono molto attraenti.

GIORNO 10 – 71 km/ 800 m disl.

All’Hotel Jugoslavia abbiamo anche il pranzo al sacco, che consumiamo prima di partire. Oggi c’è solo asfalto e bei paesaggi. La strada principale è ancora poco trafficata a quest’ora e per tre volte scendiamo e attraversiamo le montagne, per poi ricongiungerci alla stessa strada. Su una strada secondaria, probabilmente la vecchia strada per Risan, scendiamo finalmente. E all’improvviso, sotto di noi, si staglia il golfo di Kotor.

L’idea di percorrere quest’ultimo tratto oggi è stata azzeccata, altrimenti avremmo perso l’esperienza di percorrere la strada a serpentina fino al traguardo, con una vista da sogno sul blu intenso del mare. A Risan ci aspetta già una buonissima pasta. Un lungo e non sempre facile viaggio attraverso i Balcani è purtroppo giunto al termine.

Io e Hermann siamo grati di averlo vissuto insieme e di essere stati esenti da problemi di salute e tecnici.

domenica mattina

Un grande ringraziamento a Bea e Luca e a tutti i volontari che hanno fatto di tutto per regalarci un’esperienza indimenticabile. A tutti coloro che hanno abbandonato il percorso per qualsiasi motivo, vorrei incoraggiarli a riprovarlo. Le zone veramente più belle, ma anche i tratti più impegnativi, sono nel terzo terzo. Tutto il rispetto per i vincitori che hanno completato la gara in meno di 5 giorni.

A parte il fatto che non potevo certo pedalare più velocemente, il tempo poteva essere risparmiato molto, forse il tempo ha fatto il resto. Ma non mi interessa, perché ci avrebbe risparmiato un sacco di esperienze. E il mio obiettivo di arrivare prima della festa dei finisher è stato più che raggiunto.

Grazie al mio teampartner e marito Hermann per la tanta pazienza!!!!

E mille mille mille grazie a Bea & Luca & ai tanti volunteers!!!!